La dialisi è un trattamento salvavita, introdotto a partire dagli anni ‘60 nei pazienti con uremia terminale.
Secondo quanto riportato nelle linee guida KDOQI1, la terapia sostitutiva dialitica può essere intrapresa nei pazienti sintomatici a partire da un filtrato glomerulare < 15 mL/min/m2.
Inoltre, il trattamento standard prevede convenzionalmente tre sedute settimanali della durata di 3-5 ore (emodialisi convenzionale)2.
È comunque possibile prevedere almeno all’inizio del trattamento della frequenza e dose dialitica in presenza di una sostanziale funzione residua.
In taluni casi è anche possibile integrare un trattamento dietetico (ipoproteico) con una dialisi monosettimanale.
Nelle ultime due decadi, il ruolo del paziente nell’ambito del trattamento dialitico è cresciuto. In uno studio condotto nel 2010 e relativo a 584 persone affette da insufficienza renale e sottoposte a dialisi, il 61% dei malati si è detto “pentito” della scelta fatta e il 52% degli stessi ha attribuito la scelta terapeutica al medico3.
Nella revisione delle linee guida KDOQI2 del 2015, pur in presenza di livelli di evidenza non determinabili a causa della relativa insufficienza di studi clinici omogenei, il ruolo del paziente e la decisione di iniziare la terapia emodialitica vengono riconsiderati con le seguenti indicazioni.
Relativamente a frequenza e durata della singola procedura emodialitica, la dialisi convenzionale (tre sedute/settimana di 3–5 ore ciascuna) rappresenta l’approccio emodialitico più comunemente utilizzato nel mondo occidentale2.
Tuttavia, un altro approccio utilizzato riguarda l’emodialisi infrequente, definita come qualsiasi programma emodialitico che include meno di tre sessioni di emodialisi a settimana4. È stato visto che l’emodialisi infrequente non aumenta il rischio di mortalità e si associa a una migliore conservazione della funzione renale residua5,6,7.
È una terapia che richiede uno stretto monitoraggio clinico e nutrizionale, e dovrebbe anche essere accompagnata da un approccio dietetico leggermente ipoproteico4.
La terapia dietetico nutrizionale (TDN) costituisce, come anticipato, un valido strumento per posticipare l’inizio della dialisi o ridurre la necessità e la frequenza della dose dialitica ed è proprio nell’ambito della dialisi infrequente con sedute monosettimanali che si colloca il Combined Diet Dyalisis Program (CDDP)8.
Questo programma consta di una dieta ipoproteica (apporto di proteine pari a 0.6 g/Kg/die), ipofosforica e normocalorica. A questi fondamenti di base si aggiunge, nella giornata della dialisi, un consumo libero di proteine mirato a compensare l’aumentato fabbisogno azotato derivante dalle perdite proteiche e aminoacidiche registratesi durante la terapia8.
Se confrontata con il trattamento trisettimanale, la dialisi monosettimanale, associata ad una dieta ipoproteica, apporta diversi miglioramenti al quadro clinico del paziente e alla sua qualità di vita9. Nei soggetti anziani, il programma CDDP può perfino protrarsi con successo per 2-3 anni con un eccellente mantenimento dello stato metabolico unitamente a un senso di gratificazione da parte del malato stesso che percepisce un miglioramento della propria qualità di vita derivante anche dall’indipendenza dal trattamento stesso8.
Lato clinico, è invece ampiamente risaputo che dialisi frequenti possono alterare la pressione sanguigna e la concentrazione di soluti osmoticamente attivi inducendo così una forma di stress citochinico pro-infiammatorio e pro-ossidativo che conduce a una riduzione della funzione renale residua10,11.
Prima di iniziare il protocollo CDDP, il paziente viene preso in carico dal nefrologo o dall’ambulatorio pre-dialisi al fine di8:
Per avviare il programma Combined Diet Dialysis Program (CDDP), devono essere inoltre soddisfatti i seguenti criteri d’idoneità12.
Sono, invece, da considerarsi criteri d’esclusione a predetto programma elementi d’origine clinica che possano far sospettare un’uremia poco controllata, inadeguata compliance alimentare da parte del paziente, eccessivi incrementi ponderali interdialitici (> 5-6% proporzionalmente al peso secco), scompenso cardiaco latente o conclamato non diagnosticato in fase d’avvio del programma, iperparatiroidismo terziario incontrollabile e alterazioni neurologiche centrali e/o periferiche8.
Dal punto di vista nutrizionale e come già anticipato, il paziente deve seguire una dieta ipoproteica, ipofosforica e normocalorica che sottenda alle seguenti prescrizioni8.
Qualora si ravvisino alterazioni del metabolismo lipidico, si devono individuare eventuali errori nell’alimentazione e/o correggere predette alterazioni con terapia mirata e ben tollerata8. Il giorno della dialisi è inoltre consentito, come già anticipato, un apporto proteico libero purché non superiore a 1.5 g/Kg/die8. Si consiglia di somministrare miscele di aminoacidi prive di fosfati e composti azotati, prevalentemente costituiti da aminoacidi essenziali e ramificati, a causa delle difficoltà di sintesi proteica derivanti dalla disbiosi del microbiota presente nello status uremico avanzato8.
Infine, si ricorda che i pazienti, sottoposti a programma CDDP, possono essere soggetti a importante fosfaturia, escrezione di potassio nelle urine (kaliuresi), sodiuria e talvolta proteinuria superiore a 2 g/die. In caso di quantità anomale di proteine nelle urine, può essere quindi necessario effettuare una correzione dell’apporto proteico8.
In breve, i principali benefici prodotti dal trattamento CDDP9.
Ancora una volta, torna in primo piano la stretta collaborazione tra dietista e nefrologo nel processo di pianificazione, per il paziente, di interventi sicuri ed efficaci dal punto di vista nutrizionale11.
I due lavorano difatti, gomito a gomito, per l’elaborazione, in relazione allo stato nutrizionale del paziente, della TDN11.
Sempre in collaborazione con il nefrologo, il dietista è infine chiamato a educare, oltre che il paziente, anche il caregiver e la famiglia attraverso un percorso formativo volto alla gestione indipendente del piano nutrizionale secondo obiettivi condivisi11.
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