Il microbiota intestinale è un ecosistema, complesso ed essenziale, atto a conservare la salute e prevenire le malattie1. Comprende circa 10-100 trilioni di microrganismi residenti nell’intestino in relazione simbiotica tra loro e tra questi figurano batteri, virus, funghi, archaea ed eucarioti unicellulari1.
L’equilibrio omeostatico della microflora intestinale è estremamente benefico per l’ospite con cui instaura una relazione commensale; tuttavia, se c’è un cambiamento nella composizione microbica che provoca un drastico squilibrio tra batteri benefici e batteri potenzialmente patogeni, l’intestino diventa vulnerabile agli insulti patogeni con alterazioni microbiche intestinali2.
Quest’alterazione dell’equilibrio microbico, meglio nota come disbiosi, può essere definita come un disturbo dell’omeostasi del microbiota intestinale dovuto a squilibri della flora stessa, cambiamenti nella loro composizione funzionale e nelle attività metaboliche o a modifiche nella loro distribuzione locale2.
Le alterazioni del microbiota intestinale sono sempre più legate all’insorgenza di patologie come obesità, neoplasie, diabete, malattie infiammatorie intestinali, disordini cardiovascolari e patologie renali3.
La disbiosi è coinvolta, in particolare, nella progressione di varie malattie renali e, infatti, la si evidenzia spesso negli stati uremici caratteristici della ritenzione di tossine uremiche, molte delle quali derivano dalla fermentazione squilibrata dei metaboliti azotati3. Nella malattia renale cronica (MRC), queste tossine uremiche ne favoriscono la progressione e la possibile insorgenza di complicanze3.
L’interazione ospite-microbiota è stata, per molto tempo, al centro di un crescente interesse da parte della comunità scientifica perché essenziale per numerosi aspetti della normale fisiologia dei “mammiferi”, ma anche perché può favorire diversi disturbi, dalla malattia infiammatoria intestinale fino a patologie più complesse che interessano organi al di fuori dell’intestino4.
In particolare, un numero crescente di evidenze indica che la relazione ospite-microbiota è fisiopatologicamente rilevante nei pazienti con malattia renale cronica e le interazioni sono bidirezionali4. Da un lato, l’uremia si riflette sulla composizione e sul metabolismo del microbiota intestinale e, dall’altro, importanti tossine uremiche derivano dal metabolismo microbico4.
Nei pazienti con MRC, si evidenziano inoltre alterazioni nella composizione del microbiota intestinale, rispetto a quanto osservato in individui sani, con incremento di Proteobacteria, Enterobacteriacee e Clostridium a discapito di Lactobacilli e Bifidobacteria. Questo squilibrio (disbiosi) conduce a un incremento del metabolismo proteolitico e della produzione di tossine uremiche5.
La stessa malattia renale cronica favorisce modifiche nel microbiota. L’accumulo di urea nei liquidi corporei ne provoca la diffusione nel lume intestinale, dove viene poi convertita in ammoniaca dalle specie ureasi-positive e infine idrolizzata a idrossido di ammonio5.
Quest’ultimo provoca la distruzione delle giunzioni strette con conseguente danno alla barriera epiteliale e aumento della permeabilità intestinale. Le tossine batteriche entrano in circolo e si attiva un meccanismo infiammatorio, cronico locale e sistemico, che provoca un ulteriore danneggiamento della barriera epiteliale intestinale innescando un circolo vizioso che favorisce anche la progressione del danno renale5.
Nella MRC, il microbiota intestinale è direttamente coinvolto nell’aumento di tossine uremiche, come risultato di cause iatrogene e disbiosi indotta dall’uremia stessa, mentre la progressione della nefropatia aumenta la concentrazione delle tossine in circolo a causa della ridotta escrezione renale5. Tutto ciò conduce a un peggioramento del quadro clinico del paziente con insorgenza di insulino-resistenza, malnutrizione proteica, disregolazione immunitaria e aterosclerosi accelerata5.
Esistono diversi fattori in grado di influenzare la composizione del microbiota intestinale e tra questi, il regime alimentare ricopre un ruolo cruciale5.
La tradizionale dieta occidentale, ricca di grassi e proteine animali, fornisce substrati quali tirosina, triptofano, colina e carnitina selezionando le specie batteriche del microbiota intestinale a metabolismo proteico con un incremento dei prodotti di degradazione quali p-cresil solfato (PCS), indoxil solfato (IS) e trimetilammina (TMA) trasformata a livello del fegato in trimetilammina-N-ossido (TMAO)5. Tutti questi composti appaiono sensibilmente aumentati nei pazienti con MRC e sono da considerarsi quali marker di malattia e tossine uremiche5. In particolare, PCS e IS sono correlati a un aumento della mortalità nei pazienti con MRC, mentre TMAO è associato a un aumento degli eventi cardiovascolari5.
Al contrario, i carboidrati complessi come le fibre alimentari e i frutto-oligosaccaridi (FOS), ottenuti per idrolisi dell’inulina di origine vegetale, sono oggi riconosciuti come “prebiotici” e, per questo, capaci di modificare favorevolmente la composizione del microbiota intestinale stimolando la crescita e l’attività metabolica di microrganismi benefici quali Bifidobacteria e Lactobacilli a metabolismo saccarolitico5.
Nei pazienti con MRC sottoposti a emodialisi, evidenze scientifiche mostrano che le concentrazioni sieriche di PCS e IS si abbassano grazie all’assunzione orale di p-inulina5.
Ciò premesso, si può dedurre l’importante ruolo ricoperto dalla dieta terapia dietetico nutrizionale nel ripristinare la composizione del microbiota e ottimizzare l’omeostasi nei pazienti con malattia renale cronica5.
Da un recente studio pilota emerge, per esempio, come una dieta a basso contenuto proteico, in malati non sottoposti a dialisi, permetta di ridurre in modo significativo i valori di PCS dopo 6 mesi rivelandosi così un’eccellente strategia per limitare la produzione di tossine uremiche5.
Quindi, approcci nutrizionali potenzialmente utili per ripristinare un’adeguata composizione e metabolismo del microbiota intestinale sia in chiave preventiva che nelle fasi iniziali della malattia, includono la dieta mediterranea o la DASH caratterizzate da un elevato apporto di alimenti di origine vegetale ricchi di prebiotici naturali e di fibre e da un ridotto consumo di sale, zuccheri raffinati, grassi animali e carni rosse5.
Negli stadi più avanzati della malattia, si può invece optare per un trattamento dietetico ipoproteico, talvolta vegetariano5. Si consiglia, inoltre, di limitare il consumo di prodotti trasformati a causa del ridotto introito di microrganismi commensali benefici per la flora intestinale, ma anche perché tali alimenti possono essere fonti “nascoste” di fosfati e sodio5.
La MRC allo stadio avanzato si contraddistingue, come già anticipato, per una disbiosi del microbiota con conseguente6:
Queste tossine, normalmente escrete per via renale, si accumulano nel corpo del paziente, in relazione allo stadio della malattia, contribuendo a un’accelerata progressione verso la morte renale e all’insorgenza di complicanze infiammatorie e cardiovascolari6.
Nei pazienti con malattia renale cronica allo stadio avanzato, la TDN ideale dovrebbe quindi fondarsi su una restrizione proteica e un apporto di fibre alimentari pari a 20-30 g/die optando, laddove possibile, per alimenti che, a parità di contenuto in fibre, contengano meno fosforo e potassio6.
Gli auspicabili benefici di una terapia dietetico nutrizionale di questo tipo, in caso di MRC in stadio avanzato, comprendono6:
Nello stesso tempo, uno studio longitudinale, prospettico, controllato e interventistico
valuta gli effetti di una dieta a basso contenuto proteico (0,6 g/kg/giorno), con o senza l’assunzione di inulina prebiotica (19 g/giorno), sul microbiota e sui parametri clinici di un gruppo di pazienti con insufficienza renale cronica7.
Dall’analisi dei risultati, emerge come questa dieta sia in grado di aumentare significativamente le frequenze di Akkermansiaceae e Bacteroidaceae, mentre diminuiscono quelle di Christensenellaceae, Clostridiaceae, Lactobacillaceae e Pasteurellaceae7.
Inoltre, le Bifidobacteriaceae aumentano quando la dieta a basso contenuto proteico è associata all’assunzione orale di inulina7.
Nei pazienti che seguono questa dieta e assumono inulina, si osserva, altresì, una riduzione significativa dell’acido urico sierico e della proteina C-reattiva e un aumento significativo del bicarbonato sierico, elemento che si riscontra anche nei soggetti che non prendono inulina e si limitano a seguire la dieta7.
Inoltre, nei pazienti a dieta, trattati con inulina, si osserva una riduzione significativa dei livelli circolanti del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) e dei livelli plasmatici di nicotinammide adenina dinucleotide fosfato (NADPH) ossidasi (NOX2)7.
Il microbiota intestinale è un complesso ed essenziale ecosistema composto da microrganismi diversi che, in condizioni di buona salute, sviluppano una relazione commensale con il loro ospite.
Se l’equilibrio decade sopraggiunge la disbiosi, una condizione caratterizzata da alterazioni sempre più legate all’insorgenza di patologie. Tra queste, figura la malattia renale cronica (MRC) allo stadio avanzato che si contraddistingue per una disbiosi del microbiota con aumentata produzione di tossine uremiche che, normalmente escrete per via renale, si accumulano nel corpo contribuendo a un’accelerata progressione verso la morte renale e all’insorgenza di complicanze infiammatorie e cardiovascolari.
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