La terapia dietetico nutrizionale (TDN) e i trattamenti farmacologici rappresentano le fondamenta per la gestione non dialitica dei pazienti affetti da malattia renale cronica (MRC)[1,2].
A partire dagli anni ’60, la restrizione proteica, associata alla riduzione del carico alimentare di sodio e fosfato sempre a fronte di un adeguato apporto energetico, ha costituito l’unico approccio usato per correggere segni e sintomi correlati all’uremia ritardando, in questo modo, la necessità di ricorrere alla dialisi[1].
Trent’anni dopo, la disponibilità di nuovi farmaci nella pratica clinica sembrava attrarre maggiormente nefrologi e pazienti rispetto agli interventi dietetici e ciò anche a fronte delle preoccupazioni sull’aderenza dei pazienti alle restrizioni alimentari imposte dalla TDN[1].
Nonostante ciò, la terapia dietetico nutrizionale resta attualmente l’unico strumento immutabile per ridurre le intossicazioni uremiche e mantenere lo stato nutrizionale, mentre esistono forti evidenze che i farmaci possono ridurre la progressione della malattia in modo più efficace rispetto alla restrizione proteica[1]. Tuttavia, gli interventi nutrizionali possono anche rivelarsi estremamente importanti perché migliorano l’efficacia di diversi farmaci utilizzati nei pazienti con MRC.
Il trattamento della MRC è molto ampio e comprensivo di approcci diversi atti a prevenire, trattare e rallentare la malattia stessa[2]
La terapia farmacologica della MRC si propone di controllare diversi fattori di rischio.
Nei pazienti con ipertensione arteriosa, non affetti da diabete mellito:
Nei soggetti con ipertensione arteriosa e diabete, si somministrano ACE inibitori (grado A) o bloccanti del recettore dell’angiotensina (grado A)[3].
Nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, MRC allo stadio 1 e 2 e funzione renale stabile da tre mesi, si somministra metformina (grado A) e il protocollo si può seguire anche durante le fasi 3 stabili della malattia[3]. Nonostante ciò, si può valutare la somministrazione di altri agenti per la riduzione dei livelli di glucosio in rapporto al singolo paziente, alla funzionalità renale e comorbidità (grado D)[3].
La proteinuria, in adulti con diabete e albuminuria persistente, viene trattata con ACE inibitori o bloccanti del recettore dell’angiotensina (grado A). Tuttavia, in soggetti selezionati, si possono prescrivere antagonisti dei recettori dell’aldosterone (grado D)[3].
La terapia dietetico-nutrizionale (TDN) è una componente essenziale nella gestione conservativa del paziente affetto da MRC che deve anticipare e integrare le terapie farmacologiche[4].
La TDN ha il suo cardine nella restrizione dell’apporto di proteine, comprende un adeguato numero di calorie giornaliere, modula l’introito di sodio e potassio e riduce l’apporto di fosforo[4].
Oltre a intervenire sulle quantità, la terapia dietetico nutrizionale agisce anche sulla qualità degli alimenti favorendo il consumo di cibi di origine vegetale in grado di indurre effetti benefici sul metabolismo del fosforo e sull’equilibrio acido-base con un miglior controllo dei valori pressori e dell’emodinamica renale[4].
La gestione assistenziale dei pazienti con MRC è complessa e gli studi clinici hanno spesso indagato i benefici di un singolo farmaco o di uno specifico approccio dietetico.
Tuttavia, la pratica clinica quotidiana deve spesso scontrarsi con diverse condizioni di comorbidità e, per questo, è interessante valutare il potenziale effetto sinergico tra terapia dietetica nutrizionale e farmacologica per ottimizzare e personalizzare la terapia[1].
La proteinuria rappresenta il maggior fattore di rischio per la progressione del danno renale, oltre a essere un marcatore della gravità della MRC, ragion per cui più bassa è, minore è la possibilità di danno renale progressivo[1].
Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e i bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) sono noti agenti antipertensivi e ipoproteizzanti urinari e, proprio per queste loro peculiarità, sono tra le principali classi di farmaci nefro-protettivi[1]. Tuttavia, è bene sottolineare che l’efficacia degli inibitori RAAS è influenzata da fattori dietetici.
Nei pazienti con MRC, l’efficacia anti-ipertensiva e anti-proteinurica degli ACE-inibitori è attenuata da elevate assunzioni di sodio nella dieta[1].
Anche nei pazienti trattati con ARB e affetti da insufficienza renale cronica non diabetica o diabetica di tipo 2, emerge l’importanza di evitare un consumo eccessivo di sodio[1].
Uno studio multicentrico cross-over randomizzato controllato su un campione di pazienti con nefropatia non diabetica in terapia con ACE-inibitori, ha confrontato gli effetti derivanti dall’aggiunta della restrizione dietetica di sodio o della somministrazione dei bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) sull’escrezione di proteine urinarie e sulla pressione arteriosa[1]. Dall’analisi dei risultati, si evince che la restrizione dietetica del sodio è più efficace del doppio blocco del RAAS per ridurre la proteinuria e la pressione arteriosa sistolica nei pazienti con MRC avvalorando il ruolo della restrizione del sodio nella gestione dei pazienti.
Inoltre, è stato dimostrato come la qualità e la quantità di proteine assunte possono modulare l’emodinamica glomerulare.
In particolare, una dieta ricca di proteine stimola la produzione di eicosanoidi e ossido nitrico con vasodilatazione dell’arteriola afferente e aumento del flusso sanguigno glomerulare e della pressione intraglomerulare.
Al contrario, una dieta a basso contenuto proteico si traduce in una riduzione del GFR del singolo nefrone e dell’ipertensione glomerulare. La conseguente riduzione dell’iperfiltrazione e della proteinuria può rallentare il declino della funzione renale residua[1].
Anche la qualità delle proteine influisce diversamente sull’emodinamica glomerulare perché l’assunzione di carne induce un aumento acuto della GFR e del flusso plasmatico renale, risposta, invece, attenuata dal consumo della stessa quantità di proteine della soia[1].
Emerge quindi l’ipotesi che i cambiamenti glomerulari indotti dagli inibitori di RAAS e dall’assunzione di proteine possano essere additivi. I pazienti nefropatici con funzione renale conservata mostrano una diminuzione della proteinuria passando da un apporto proteico di 1,0 g/kg/die a 0,3 g/kg/die. La somministrazione di un ACEinibitore, in aggiunta a diete ipoproteiche, favorisce un’ulteriore riduzione della proteinuria[1].
Gli inibitori del sodio-glucosio-trasportatore 2 (SGTL2i) sono una nuova classe di farmaci antidiabetici in grado di migliorare il controllo glicemico[5].
Tuttavia, a riscuotere ancora maggiore interesse sono le loro proprietà protettive cardiovascolari e renali[5]. Questi farmaci possiedono effetti nefro-protettivi e antiproteinurici perché promuovono una ridotta progressione della malattia renale, la diminuzione del numero di ricoveri e il contenimento dei decessi per cause cardiovascolari[1].
Alcuni studi randomizzati controllati hanno dimostrato che diversi SGLT2i attenuano l’iperfiltrazione glomerulare, attraverso il blocco dei cotrasportatori sodio-glucosio e la conseguente riduzione anche del riassorbimento del sodio, e l’albuminuria nei pazienti con diabete mellito di tipo 2. Di conseguenza l’interesse si è spostato verso il loro effetto nefroprotettivo volto a ridurre la progressione verso la nefropatia conclamata[1,5].
Nei pazienti con MRC, l’effetto nefroprotettivo indotto dai farmaci SGLT2i può essere modulato con l’ausilio di diete a basso tenore di proteine perché, al di là degli effetti emodinamici glomerulari, restrizione proteica e farmaci sono in grado di ripristinare l’autofagia e, attraverso questi meccanismi, possono esercitare effetti protettivi sulla malattia renale diabetica[5].
Al fine di comprendere questa promettente interazione, alcuni ricercatori hanno valutato, in tre studi randomizzati controllati, gli effetti degli inibitori SGLT2 a diversi livelli di assunzione proteica in pazienti con insufficienza renale cronica proteinurica con o senza diabete[1]. Dai risultati, emerge che l’effetto sulla riduzione iniziale della GFR e del rapporto albumina/creatinina urinaria sono indipendenti dall’assunzione di proteine. Sulla base di quanto riscontrato, si ipotizza che esistano tendenze biologicamente plausibili che suggeriscono come una dieta a basso contenuto di proteine possa aumentare l’effetto degli inibitori SGLT2 sull’albuminuria[1].
Inoltre, un basso apporto di sale mitiga il calo dell’eGFR che si verifica all’inizio della terapia e migliora l’effetto positivo, a lungo termine, degli inibitori SGLT2 sull’eGFR suggerendo come un approccio nutrizionale completo possa migliorare gli esiti renali[1].
La prevenzione e il trattamento della MRC non può esimersi dal controllo dietetico del carico di assunzione di fosforo[1].
Per ridurre l’assorbimento intestinale netto del fosfato nei pazienti con insufficienza renale cronica, si ricorre a leganti del fosfato combinati, per una migliore efficacia, all’assunzione controllata di fosforo[1].
Ciò favorisce una riduzione dei livelli sierici del fattore di crescita fibroblastico 23 (FGF23) nei pazienti con MRC, elemento associato a un aumento di morbilità e mortalità sia in dialisi che nei pazienti con insufficienza renale cronica nei quali è anche predittore della progressione del danno renale[1].
La TDN e il trattamento farmacologico rappresentano le fondamenta per la gestione non dialitica dei pazienti con MRC. Entrambi hanno caratteristiche specifiche e immutabili e, in alcuni casi, anche un’azione sinergica che consente di ottimizzare le terapie rendendole più efficaci, meno costose e con un minor rischio di effetti collaterali indesiderati[1].
La TDN e i farmaci non sono in competizione tra loro, ma cooperano per ridurre il rischio di danni renali e cardiovascolari progressivi e per ritardare l’inizio della dialisi[1].
Il ricorso a un approccio dietetico con bloccanti RAAS e inibitori SGLT2 con i loro effetti sinergici è il miglior esempio di protocollo integrato[1]. Inoltre, è bene impostare una dieta iposodica perché elevati apporti di sodio attenuano l’efficacia degli inibitori RAAS su proteinuria, pressione sanguigna e danno renale progressivo[1].
Al contrario, la restrizione del sodio migliora l’effetto anti-proteinurico e antiipertensivo degli inibitori RAAS riducendo ulteriormente il rischio di danno renale progressivo[1]. La restrizione del sodio aumenta l’azione anti-proteinurica e antiipertensiva degli ACE-inibitori molto più dell’associazione con ARB (RAAS double block)[1].
Parallelamente, una dieta a basso contenuto proteico ha un effetto anti-proteinurico, additivo degli ACE-inibitori o ARB. Gli effetti nefro-protettivi degli inibitori SGLT2 sono indipendenti dal livello di assunzione di proteine e, quindi, si ipotizza che possa esistere un effetto additivo quando gli inibitori SGLT2 vengono aggiunti a una dieta povera di proteine, o viceversa. La restrizione dell’assunzione di fosforo in associazione con i leganti intestinali del fosfato provoca una riduzione dei livelli sierici di FGF23 nei pazienti con MRC.
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